giovedì 16 giugno 2011

Il corpo delle donne

Pier Paolo Pasolini aveva capito in anticipo che la televisione stava per distruggere la poetica potenzialmente espressa dal volto umano. Pasolini aveva un senso acuto della realtà del volto umano, come luogo d'incontro di energie ineffabili che esplodono nell'espressione, cioè in qualche cosa di asimmetrico, di individuale, di impuro, di composito, insomma il contrario del tipico. Che ne è dei volti delle donne? E del femminile espresso da ogni volto nella sua unicità…? Invecchiando io rivelo il mio carattere dove per carattere devo intendere tutto il vissuto che ha plasmato la mia faccia. Che si chiama faccia perché la faccio proprio io con le abitudini contratte nella vita, le amicizie che ho frequentato la peculiarità che mi sono data, le ambizioni che inseguito, gli amori che ho incontrato e che ho sognato, i figli che ho generato. “Onora la faccia del vecchio” è scritto nel Levitico; è infatti un dovere del cittadino rendere pubblica la propria faccia e non nasconderla come oggi consentono gli interventi chirurgici non è da poco infatti il danno che si produce quando le facce che invecchiano hanno scarsa visibilità, quando esposte alla pubblica vista sono soltanto facce depilate, truccate, rese telegeniche per garantire un prodotto sia esso mercantile o politico” (Lorella Zanardo)

lunedì 13 giugno 2011

Storie


Ci sono storie che durano anni e in questi anni magari ci s'innamora e disamora. Alcuni smettono di amarsi, ma rimangono comunque insieme. Altri decidono di lasciarsi, ma per farlo hanno bisogno di tempo. Prima cercano di capire se sono veramente sicuri, o se è solo una crisi passeggera. Se poi alla fine si convincono che è veramente finita, devono comunque trovare il modo di farlo, trovare le giuste parole per lenire il dolore. Ci sono persone che su questo punto possono anche perdere mesi, a volte addirittura anni. C'è anche chi ci ha perso una vita e quel passo non l'ha mai fatto. Molti non riescono a lasciare, semplicemente perché non sanno dove andare, oppure perché non riescono a sopportare l'idea di essere i responsabili del dolore dell'altro. Un dolore intenso, che può provare solo qualcuno con il quale abbiamo vissuto in intimità. Si ha la convinzione che un dolore improvviso sia troppo forte e faccia maggior danno di un dolore più piccolo, ma dosato giorno dopo giorno.
Questi rapporti vanno avanti anche se chi sta per essere lasciato lo ha già capito. Perché preferisce far finta di niente. Quando nessuno dei due è in grado di affrontare la situazione, il meccanismo si inceppa. Entrambi sono sopraffatti dalla propria incapacità e da quella dell'altro. Allora, prendono tempo. Perdono tempo. Sfiniscono il tempo.
La persona che sta per essere lasciata quasi sempre diventa più affettuosa, più gentile, più consenziente; non capisce che in questo modo peggiora la situazione, perché qualsiasi persona troppo accondiscendente perde fascino. Più si ritarda, più la vittima diventa debole.
C'è anche chi rimanda nella speranza che l'altro faccia un passo falso, un errore, manifesti anche solo una piccola debolezza per potersi aggrappare a quella e usarla come scusa per non sentirsi carnefice.
A volte anche quando non ci si ama più e ci si rende la vita impossibile a vicenda si continua a essere gelosi. E non ci si lascia solo per impedire ad altri di avvicinarsi.
Sono tanti i motivi per cui si resta insieme. Magari in una storia di cinque anni si è stati innamorati e ci si è amati solamente per due, o tre, o quattro. Per questo la qualità di una storia non può essere misurata dalla durata. Non conta il quanto, ma il come.
La storia con lei è durata tre anni e io credevo di averla amata per più di quattro. Pensavo che il mio amore fosse strabordato dal tempo della nostra storia. Sono stato convinto, fino a poco tempo fa, di averla amata in silenzio anche in questi due anni che non era più con me. Poi ho capito che non la amavo semplicemente perché non ero in grado di farlo. Perché io sono sempre stato una persona distaccata. Non ho mai provato veramente l'amore, non facevo altro che immedesimarmi nelle emozioni altrui, come un attore fa con un personaggio. Ho sempre pianto al cinema, o vedendo un cane che zoppica, o per un lutto, o per le disgrazie sentite al telegiornale. Forse è tipico di chi non sa amare veramente.
Il mio amore in realtà era una recita. Sentita, ma comunque una recita. E non mi accorgevo nemmeno di farlo. Non facevo finta di amare con lo scopo di ingannare. Non le ho detto "ti amo" sapendo che non era vero. Anch'io ero tradito da me stesso, anch'io pensavo di amarla veramente. E nei tre anni passati insieme credevo di essermi innamorato di lei almeno due o tre volte. (Tratto da: "Il tempo che vorrei" di Fabio Volo)